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TROVI LA RISPOSTA
QUAL È LA DOMANDA?
Racconto giallo interattivo multimediale galattico
sul senso della vita (Modestamente)
"Ti
hanno nascosto l'informazione essenziale."
Le parole stavano
scritte sopra un foglietto di carta bianca ripiegato e
stropicciato.
Una calligrafia chiara, impersonale.
"So che non
mi credi ma è così. Per provarti che so qualche cosa che tu non sai
ti dico che domani uscirà il numero 6 sulla ruota di Milano. Giocalo
al Lotto".
Il biglietto non era fisicamente nelle sue mani. Lui
stava guardando una foto del biglietto. La foto gli era arrivata via
e-mail al suo indirizzo di posta elettronica.
Michele Lanzacurte non ci fece gran caso. Ma
quella sera trovò in un bar una ricevitoria del Lotto. Era di buon
umore e pensò che poteva permettersi di puntare centomila lire sulla
fortuna.
Il suo bilancio sarebbe sopravvissuto e giocare,
moderatamente, fa bene, perché ti fa sognare per qualche minuto di
essere miliardario. Immaginare di vincere è un po' come vincere.
Ristora l'anima e galvanizza il sistema immunitario. Ovviamente non
parlo del gioco paranoide di chi butta soldi su soldi alla roulette.
Parlo del comprare un biglietto della lotteria per godersi, per un
po' di giorni, la fantasticheria di vincere 10 milioni di
dollari.
Il giorno dopo il 6 uscì
sulla ruota di Milano e Lanzacurte vinse 11 volte i soldi scommessi:
1.100.000 mila lire.
Era molto soddisfatto ma anche perplesso.
Come poteva essere possibile conoscere prima un numero estratto?
Doveva esserci un trucco.
O forse era solo un caso
fortunato.
Quello stesso giorno arrivò una nuova e-mail. Dentro
c'era la foto di un bigliettino sul quale c'era scritto
soltanto:
"Hai visto che il 6 è uscito sulla ruota di Milano?
Forse sei tu il prescelto?"
Michele era perplesso e molto
incuriosito Ma aveva anche un po' di paura. "Che razza di scherzo mi
stanno organizzando?"
Michele era un uomo di 40 anni. Era
abbastanza robusto, abbastanza da sapersi difendere. E in gioventù
era stato un violento. E questo gli aveva lasciato una capacità
speciale di avere paura. Le persone pacifiche hanno paura di essere
aggredite ma è una paura teorica. Chi ha praticato la violenza ne
conosce tutto l'orrore. La sua ansia è tridimensionale,
stereofonica.
La violenza marchia a fuoco i violenti, per tutta
l'esistenza. Non importa se poi ti penti e cambi vita. Michele
sentiva la paura invaderlo. Qualcuno stava in qualche modo
minacciando la sua vita?
La mattina seguente al numero telefonico dell'internet point di
Basilea rispose una signorina. Michele le raccontò cosa gli
era successo e le chiese se poteva accendere quel computer e controllare
la memoria del programma di posta elettronica e vedere se da quella
postazione era stata inviato qualche altro messaggio insieme a quello
inviato a lui.
«Mi dispiace» rispose la ragazza «Proprio quel
computer è stato infettato ieri da un virus e abbiamo dovuto
riformattarlo. La memoria di outlook express è stata cancellata».
Il mattino dopo gli arrivò la quinta mail: "Forse ti
può essere utile sapere che la prima mail l'ho spedita da
Basilea e che ho cancellato la memoria del computer utilizzato".
Michele iniziò a sospettare di essere finito in un film di
fantascienza.
La città
era fredda, inospitale e puzzolente. Michele stava andando al lavoro.
Viaggiava a bordo di un vagone della metropolitana consumato. Il
convoglio uscì dal sottosuolo e iniziò a viaggiare
nella periferia, costeggiando strade grigie e case progettate da
architetti che odiano la vita con tutte le loro forze. La trovano
disordinata, tondeggiante e colorata in modo volgare. Per questo
costruiscono tutto quadrato, ordinato e grigio.
Michele stava
sopra un treno che viaggiava su un binario predeterminato. Il treno
viaggiava producendo uno sferragliamento di fondo. Il treno viaggiava
nel senso più esteso della parola. La vita stessa di Michele
viaggiava dentro quel treno e come quel treno.
Il treno era una perfetta parabola della vita di Michele Lanzacurte,
grafico pubblicitario, 40 anni, naso regolare, bocca regolare, occhi
regolari.
Il treno viaggiava facendo girare furiosamente le ruote dei vagoni
e questo girare rappresentava in modo straordinariamente eloquente
la fatica che faceva la città per esistere. Una fatica che
creava spigoli ovunque. Spigoli di muri, di tavoli, di gradini.
Gradini ovunque, a milioni. Le città sono gradinate di paranoia.
Michele Lanzacurte si chiedeva che cosa stesse succedendo. Nella
sua mente immaginava epiloghi tragici degli avvenimenti in corso.
Non riusciva proprio a credere che quella strana serie di messaggi
potesse portargli benefici.
Non ci vedeva niente di buono. La sua immaginazione correva a scene
di segrete medioevali e corpi insanguinati. Agguati notturni, ossa
rotte da pesanti bastoni piombati e carni ferite da coltelli spuntati
dal buio. Eppure un angolo della sua mente sognava feste e orge
alle quali avrebbe potuto partecipare perché era "Il
Predestinato", "Il Prescelto". "L'Amato da Dio".
Arrivò
in ufficio carico di pensieri. Entrò nella grande sala illuminata
dai neon. Una cinquantina di impiegati lavoravano nei loro cubicoli
dalle pareti basse. Se scoreggiavano li sentiva anche l'ultimo dei
fattorini lungo il corridoio.
"Vite esposte" pensò Michele. Percepiva quella
mancanza di intimità come un fatto determinante, un crimine
subliminale che era alla radice di tutti i mali del mondo. Gli faceva
schifo lavorare in quelle condizioni.
Il suo capo, uno che probabilmente ogni mattina si infilava un manico
di scopa nel culo per non rischiare di essere troppo flessibile
con i dipendenti, lo chiamò nel suo ufficio per affidargli
un lavoro urgentissimo che avrebbe richiesto una notte in bianco
per poter essere consegnato il giorno successivo. Si trattava di
un'illustrazione in 3D con una ragazza discinta che consigliava
alle donne di utilizzare uno smacchiatore che non perdona.
Michele prese la cartella. Andò al suo cubicolo, si sedette.
Accese il computer e mentre aspettava che si avviasse si tolse le
scarpe e si massaggiò il piede sinistro. Questo gli diede
una notevole sensazione di piacere. Si rese conto in quel momento
che si sentiva strano, come se fosse separato da una sottile bolla
da quel mondo che fino al giorno prima era stato il suo.
Quello che gli stava succedendo, quelle mail, lo avevano messo in
uno strano stato d'animo che rendeva irreale, assurda quella ritualità
quotidiana, quel dover dar retta a un capo incapace di organizzarsi.
La paura dell'ignoto lo innervosiva.
Non credeva alla storia del prodigio, del predestinato, ma quelle
lettere gli avevano dato una scrollata.
Si stava rendendo conto che avrebbe potuto essere rispettato di
più e pagato meglio. Ora che si sentiva in pericolo quel
lavoro gli risultava impossibile. Decise che non ne poteva più.
Quando il computer entrò in azione smise di massaggiarsi
il piede. Trasferì qualche lavoro che voleva conservare in
un dischetto e poi raccolse le sue cose, le infilò nel sacchetto
di plastica pulito che rivestiva il cestino delle cartacce, si rimise
il giaccone e se ne andò. Passando davanti al portiere gli
disse di riferire che non si sentiva bene e se ne andava a casa.
Avrebbe mandato certificati di "malessere psicologico"
finché la permissività del sistema assistenziale glielo
permetteva e poi, forse, avrebbe trattato un licenziamento decoroso
con l'azienda. Ma questo dopo, molto dopo. Ora voleva abbandonarsi
al suo malessere psicologico. Era reale.
Gli giravano
i coglioni, era ansioso, spaventato. Spiava le persone per strada
sospettando che lo seguissero...
Pensò: "La gente dovrebbe saperlo che si può
scappare dal lavoro. Vai da un dottore e gli dici: 'Mi sento confuso,
nervoso, stanco, insoddisfatto. Spesso non ho la forza di alzarmi'.
Se lo dici con la faccia abbastanza triste ti dà tre mesi
di malattia. Ma non è una malattia. Sono i sintomi della
vita umana all'inizio del terzo millennio. Credo di avere il sacrosanto
diritto di fermarmi per 3 mesi a prendere le misure della mia vita.
Tutti hanno voglia di farlo ma hanno paura di non essere poi capaci
di ripartire". Michele lasciò la palazzina dove aveva
lavorato per 6 anni. Prese a sinistra verso Parco Sempione e si
mise a passeggiare per i viali. Non c'era nessuno. I prati erano
verdi, gli alberi erano verdi e il cielo era di un grigio diverso.
Cercava qualche
cosa. Non sapeva che cosa. A sera, tornando a casa, si sentiva stanco
dentro. Forse era esaurito per davvero. Mangiò un caffellatte
in una tazza rosa e andò a dormire.
La mail successiva
conteneva, ancora una volta, la foto di un bigliettino spiegazzato
e scritto a mano:
"Lo sai.
È questo che ti rende ansioso.
Tu non stai realizzando la tua missione!"
Il giorno successivo
sul computer arrivò un'altra lettera: "Tu sei il prescelto.
Da questo momento avrai un'enorme fortuna se ascolterai te stesso.
Il potere si rivelerà dentro di te. Sei pronto?"
Michele Lanzacurte non era pronto. Queste lettere erano uno sbandamento
psicologico. Doveva essere proprio un imbecille quello che perdeva
tempo a scrivergli.
Michele aprì il giornale. Nella pagina degli spettacoli c'era
una pubblicità a mezza pagina che diceva:
"Sei pronto?" Sotto, in caratteri minuscoli c'era la scritta:
"Chao Weng, maestro di arti marziali. I segreti del Tao in
una lezione". Seguiva il numero di telefono. Nient'altro.
Michele compose il numero. Si sentiva piuttosto emozionato. Chi
avrebbe risposto?
Il telefono suonò libero un paio di volte. Poi una voce di
donna rispose:
"Parla pure".
"Avete messo un annuncio sul giornale..."
"Sì."
"Quando si terrà il corso?"
"Questa notte."
"Fate un corso di notte?"
"Sì, il Maestro Chang dice che di notte è meglio."
Ascoltandola si rese conto che doveva essere molto giovane. Aveva
una voce decisamente sensuale e cristallina. Michele se l'immaginò
con il corpo di una fotomodella. Nuda e criminale.
"Dove si tiene questo corso?"
"Alla palestra Sole Nascente in via Pinturicchio 22."
"E quanto costa il corso?"
"Hai mai giocato d'azzardo?"
"Sì."
"Allora il corso costa quanto hai giocato l'ultima volta. Ora
sai tutto quello che serve. Scusami."
Si sentì un "clok" e la comunicazione fu interrotta.
Michele ricompose il numero schiacciando il tasto ripeti. Il telefono
suonò per 6 volte. Poi rispose un'altra voce femminile. Probabilmente
una donna più matura.
"Scusi stavo parlando con una sua collega, poi è caduta
la linea. Volevo sapere se il corso si ripete in altri giorni. C'è
solo questa sera?"
"Questa sera non c'è nessun corso, signore, i corsi
sono tutti i martedì e i venerdì, dalle 17 alle 18.
La domenica dalle 11 alle 12. Il corso costa 50 mila lire. Arrivi
10 minuti prima per fare l'iscrizione. Mi scusi ma ho da fare."
"Ma scusi! Un istante fa la sua collega..."
"Guardi, non c'è nessuna collega, sono qua da sola e
ho un sacco di roba da fare e in questo momento ho finito lo Zen".
"Ma io le giuro!"
"Mi fa piacere, guardi le avranno fatto uno scherzo, ogni tanto
ci sono delle interferenze nella linea. Arrivederci". E troncò
la comunicazione. Michele era sempre più pensieroso. Dopo
un'ora e mezza richiamò. Sentì di nuovo la voce della
ragazza "Parla pure."
"Sono io, cos'è questa storia di mezzanotte, uno scherzo?"
"Non ho tempo..."
"Ma che stronzata state facendo, sei pronto, non sei pronto
checcazzo succede? Che imbroglio è questo?"
Lei rispose con un tono di voce che era assolutamente fuori luogo:
"Mi piace quando ti arrabbi. Si sente che sei un uomo al di
fuori del normale. Ti scoperei qui se si potesse farlo per telefono".
Poi attaccò. Lui richiamò.
Rispose un'altra volta la donna di prima, quella più matura.
"Palestra Chang, dica..."
"Ho parlato un attimo fa con una ragazza..."
"Ancora lei? Ma è malato... Senta le stanno facendo
uno scherzo ma mi lasci in pace. Qui telefonano in 10 mila per questa
cavolo di pubblicità sul giornale. Che poi vorrei sapere
chi l'ha fatta..."
"Non l'avete fatta voi?"
"E chi ha i soldi per fare pubblicità... Lei forse non
conosce il Maestro Chang... La devo lasciare..."
E attaccò di nuovo.
Michele era interdetto. Si stavano prendendo gioco di lui?
Quella sera
prese una precauzione. Scrisse tutto quello che gli era successo,
lo stampò su un foglio di carta da lettera e lo mise in una
busta affrancata indirizzata al suo avvocato. Un'altra copia la
inviò su una casella postale che aveva in ditta a suo nome.
Poi andò all'appuntamento di mezzanotte. Via Pinturicchio
stava in fondo a viale Corvetto, oltre le mura romane. Un quartiere
anni '60 di case popolari e piccoli capannoni di artigiani.
La palestra Chang era nel
seminterrato di un palazzetto di 5 piani. Dei gradini zozzi portavano
all'ingresso del "Centro Culturale Wang Chang, Arti marziali
e Zen" segnalato da un cartellone di plastica bianca sulla
quale erano state incollate lettere rosse autoadesive. Michele entrò.
La porta era solo socchiusa. C'era poca luce e odore di umidità
fredda. "C'è nessuno?" chiese Michele a voce alta.
Nessuna risposta.
In fondo all'ingresso c'era un'altra porta. La socchiuse. Al di
là c'era un'ampia sala con un pavimento di lunghe assi di
legno assemblate in modo elementare. Un uomo, al bordo del cono
di luce di una lampadina a basso consumo, era assorto in movimenti
lentissimi. Stava sul fondo della sala con una specie di giacca
di cotone informe chiusa in vita con due legacci e pantaloni larghi
e senza forma.
"Mi scusi" disse Michele. L'uomo era giovane. Chiaramente
un orientale. Non rispose subito. Finì il gesto ampio delle
braccia che aveva iniziato. Portò le mani davanti al petto
e concluse il movimento. Restò fermo alcuni secondi e poi
si accorse della presenza di Lanzacurte. "La palestra è
chiusa". Era un orientale ma parlava italiano con un forte
accento lombardo.
"Ma io ho telefonato. Mi hanno detto di venire qui a mezzanotte
per un corso Zen di un'ora".
"Le hanno fatto uno scherzo. Non c'è nessun corso di
notte. Torni domani pomeriggio alle 5".
Michele ci restò male. Tutto si aspettava eccetto di essere
stato vittima di uno scherzo idiota. Sentiva che doveva insistere.
Forse faceva parte del gioco.
"Ma ormai sono qui... Non potrebbe farmelo lo stesso un corso
di un'ora?"
"E cosa vuole che le insegni in un'ora?" Disse l'uomo
con un mezzo sorriso.
"Cos'è lo Zen?"
"Ha altre domandi facili da fare?"
"Senta, la prego, sono in una situazione molto difficile. Fatti
inspiegabili, coincidenze, e messaggi che mi portano qui... devo
sapere cosa mi sta succedendo."
Maestro Chang pensò di aver davanti un altro allucinato da
new age mass mediologa. Pensò che, in fondo, anche i maestri
di arti marziali dovevano guadagnarsi il paradiso.
"Riconoscere le coincidenze che si verificano costantemente
intorno a noi è il primo passo del cammino che porta all'illuminazione
e alla consapevolezza" disse.
Era una frase fatta ma rappresentava un buon inizio.
Michele obiettò subito: "Non si tratta di semplici coincidenze.
Per 2 volte mi è stato detto di giocare un numero al Lotto
e per 2 volte il numero è uscito".
"Vuoi dire che hai veramente giocato e vinto due volte?"
"Sì".
"E quanto hai vinto?"
"Sei milioni".
"Bene. Allora, dov'è il problema?"
"Chi l'ha fatto? Come ha fatto? Perché?"
"Non sai chi ti ha detto quali numeri giocare?"
"Un messaggio anonimo via e-mail".
"Interessante" disse Chang che già temeva di trovarsi
davanti a un cultore di viaggi astrali, presenze spiritiche e dialoghi
con entità superiori extraterrestri.
"L'ultimo messaggio che mi è arrivato chiedeva: «Sei
pronto?» Proprio come la vostra pubblicità sul giornale
di oggi."
"Beh, questa è stata strana anche per me" convenne
Chang. "Non ho la più pallida idea di chi abbia messo
quell'inserzione. Ho telefonato al giornale e mi hanno detto che
qualcuno ha fatto un bonifico bancario per pagare dando il mio nome.
In effetti è strano".
"E questo non la preoccupa?" Michele non sapeva se credergli.
"Beh, no. Mi preoccupo se qualcuno mi aggredisce con una mazza
da baseball in mano e non se mi fanno vincere al lotto o mi regalano
mezza pagina di pubblicità sul giornale più letto
della città".
"Ma potrebbe essere tutto un piano..."
"Ci ho pensato ma, vede, io possiedo talmente poco e sono talmente
insignificante che non vedo proprio cosa potrebbero volermi rubare".
"È uno strano modo di pensare... È per via delle
sue teorie fataliste orientali?"
"Non c'è niente di fatalista. Si tratta di essere pratici.
Preoccuparsi per i pericoli non è la stessa cosa che essere
efficienti quando si presentano veramente. Anzi, più sono
preoccupato e meno riesco a valutare esattamente lo stato della
realtà. E finisco per non vedere il pericolo quando si manifesta.
Preoccuparsi di come sarà il pericolo ci porta a creare delle
fantasie sul pericolo e a convincerci che esso possa avere un determinato
aspetto. Ma i pericoli, nella realtà, si presentano per lo
più in forme inaspettate e tutta la fatica di prevederle
si rivela inutile. E anzi l'idea che abbiamo del pericolo ci condiziona
mentalmente e fa sì che non vediamo il pericolo
vero quando ci si presenta davanti".
"E c'entra qualcosa questo con lo Zen?"
"L'umanità vive in uno stato di paura costante. Paura
del futuro e rimorso o nostalgia per quello che si è fatto
in passato e soprattutto per quello che non si è fatto. Non
si ascolta il presente, non si sentono le sensazioni. Non si sentono
le sensazioni. La maggioranza delle persone vive in automatico,
come ipnotizzata o addormentata. Alcuni, a un certo punto, iniziano
a percepire qualche cosa: sognano di vivere. Essi iniziano così
la via della ricerca. Sognano che esista una vita al di là
del sonno e si mettono in cerca del modo per risvegliarsi.
A volte capita che riescano a risvegliarsi da questo sonno per qualche
giorno. Questo risveglio viene chiamato 'Illuminazione'. È
uno stato mentale del tutto simile alla cotta amorosa. In effetti
anche quando ci si innamora totalmente si sperimenta una qualità
totale dell'ascolto".
Michele aveva sentito bene e ora lo guardava senza sapere che cosa
dire. "Ma tutta questa è teoria" disse il giovane
Maestro. "Adesso passiamo alla pratica. Togliti le scarpe e
cerca di muoverti come me e di ascoltare la sensazione del tuo respiro
e dei tuoi movimenti."
Chang non disse più niente. Portò le mani nuovamente
al petto e iniziò una danza lentissima. Michele prese a cercare
di imitarlo e, ogni tanto, per qualche secondo, si ricordava di
ascoltare il suo respiro. L'aria entrava fresca nei polmoni e dava
una lieve sensazione di pieno. Poi sentiva l'aria riversarsi di
nuovo verso la bocca, calda, e uscire dalla narici con un rumore
lieve.
Ogni tanto riusciva ad ascoltare la sensazione delle sue articolazioni
che si flettevano o si stendevano, il peso del corpo sulle piante
dei piedi, il suo baricentro che si spostava e lo induceva a modificare
la posizione di ogni parte del suo corpo
per mantenere l'equilibrio. Non era difficile ascoltare tutte quelle
sensazioni anche se era la prima volta che ci provava volontariamente.
Però non riusciva ad ascoltare per più di qualche
secondo. Si mise a pensare a quel che stava succedendo, era successo,
poteva succedere, cercando di razionalizzare... ma il movimento
lento e lo sforzo di imitare il Maestro Zen lo portarono a perdersi.
Quando il Chang, dopo un'ora, smise di muoversi Michele si rese
conto di non essersi accorto che
fosse passato tanto tempo.
"Ti sei distratto" gli disse l'orientale lombardo.
"Mi dispiace, non sono riuscito a concentrarmi abbastanza".
"Non hai capito. La disciplina ha lo scopo di esercitare l'ascolto
ma lo scopo dell' ascolto è proprio il distrarsi.
Noi non coltiviamo la concentrazione ma la distrazione. Hai ottenuto
un ottimo risultato riuscendo a distrarti alla tua prima lezione
di Zen. Bravo. Ci sono persone che non ci riescono prima di mesi.
A tratti sei riuscito anche a fonderti con il mio movimento ed entrare
in empatia con me. Col tempo capirai meglio cosa vuol dire empatia.
Esercitati ad ascoltare le sensazioni più minuscole e lo
imparerai senza fatica. E quando fai l'amore prova a muoverti al
rallentatore e non ascoltare solo le sensazioni della tua area genitale.
Ascolta tutto il tuo corpo. Il tuo corpo ti racconta in ogni momento
storie meravigliose che danno senso alla vita. Ascolta. Se hai capito
che basta ascoltare hai colto il nocciolo dello Zen. Credo che la
lezione di Zen di un'ora sia finita.
Non cercare miracoli e prodigi. Cerca di ascoltare".
Michele ringraziò
il maestro. La ragazza al telefono gli aveva detto che avrebbe dovuto
pagare la lezione quanto aveva puntato l'ultima volta che aveva
giocato d'azzardo.
E lui aveva scommesso 550 mila lire sul 7 sulla ruota di Roma. Tirò
fuori dalla tasca dei pantaloni 11 banconote da 50 mila lire ma
il Maestro ne accettò solo una mormorando: "Ma figurati
se mi faccio pagare 550 mila lire per una lezione di un'ora..."
Michele tornò a casa con la sua utilitaria. Piovischiava.
Le luci lungo la strada gli venivano in contro e ovunque turbinavano
luci bianche, gialle, rosse e arancioni. Ma non riuscivano a scalfire
veramente il buio.
Quella notte
arrivò un'altra mail. Diceva: "Hai aperto il tuo cuore
all'ascolto? Se lo hai fatto nessun ostacolo ti potrà resistere".
Michele fu colto da un desiderio selvaggio di fare l'amore. Quanto
tempo era che non lo faceva?
Due mesi. No, tre mesi. Troppo.
Dove era possibile trovare una donna che volesse fare l'amore con
lui?
Sentiva il desiderio annaspare tra la bocca dello stomaco e il pube.
Cercò di ascoltare meglio la sensazione che si muoveva dentro
di lui.
Com'era questa sensazione?
"Difficile descriverla" pensò.
Non con un solo paragone, almeno. Era una sensazione divisa in tante
piccolissime sensazioni che durano ognuna meno di una frazione di
secondo. Ci sono e non ci sono. Ci sono a tratti.
E cambiano costantemente. Quello che senti quando ti prende l'eccitazione
lo puoi descrivere solo come una serie di paragoni, è una
cascata. Perché le sensazioni sottili (questo lo scoprì
mesi dopo) sono "a cascata".
Sentiva qualche cosa di leggermente fresco saettare lungo i reni.
E spasmi infinitesimali nel suo sesso e come un impercettibile solletico
fresco al pube. Sensazioni che durano meno di un secondo, rapide
come lampi. E nelle spalle poteva percepire un delicatissimo prurito
sabbioso. C'era un silenzio soffocante nella sua anima di serpente.
Niente musica. Niente. Poche luci, come di notte quando il buio
riguadagna subito la dittatura sugli occhi appena una luce si allontana.
E tutte queste sensazioni gli risultavano assolutamente insopportabili
e quel desiderio assomigliava alla paura, ma non era paura. Era
bramosia.
(!) Grigio, grigio freddo panico.
E non voleva più stare così, , , , . (virgola, virgola,
virgola, virgola, punto) Lui voleva sentire il bollore del corpo
di lei. La sensazione di caldo scendere giù lungo i capezzoli
eeee . , :/ olè.;.
E la sensazione delle mani aperte sui suoi seni, prato liscio e
gommoso di brividi sulle dita e un fremito osseo che ti parte da
quella cosa che le persone volgari chiamano "membro virile"
e ti riempie i palmi delle mani mentre con la mente ascolti il punto
nell'incavo tra le dita dove il capezzolo di lei, inturgidito, preme
e riesci a sentirlo. Biglie di consistenza pagana rotolano indivise
su rugiade lasciate dal vento sulla carne calda e umida della notte.
E lui voleva assolutamente quello che gli avrebbe portato trovarsi
tra le braccia di una donna veramente desiderosa per il deliquio
del suo corpo, suo e suo, di lui e di lei.
Non c'era nessuna donna da nessuna parte e il cielo della notte
non gli parlava. Uscì di casa. Erano passate le tre. Iniziò
a girare in auto. Si fermò in un caffè. Non c'era
nessuno. O meglio non c'era lei. Lei. Lei, la prossima donna che
avrebbe fatto l'amore con lui. Sapeva che era solo un momentaccio.
Prima o poi un'altra donna gli avrebbe dato le sensazioni che desiderava.
Sarebbe successo, certo, era una legge matematica.
Prima o poi. Non può non succedere mai più. Succede
sempre ancora una volta fino a che si è vivi. Sempre tranne
una sola volta, quando muori prima che succeda di nuovo.
In un altro momento della sua vita avrebbe sfogato quel desiderio
sordo e violento con una prostituta. Quanto vuoi? Sali. Come ti
chiami. Io mi chiamo Michele. No non mettermi il preservativo voglio
soltanto che mi tocchi. Grazie mille.
Ma quella sera
voleva di più. Si sentiva di meritare di più. Sentiva
una distanza siderale tra la sensazione che gli avrebbe dato accarezzare
il seno di una prostituta e quello che desiderava fare con una donna.
Era maledettamente curioso di sapere che cosa avrebbe sentito dentro
facendo l'amore e ascoltando tutto quello che gli succedeva dentro.
Avrebbe voluto fare l'amore muovendosi lentamente. No. Ancora più
lentamente. Praticamente da fermo. Limitandosi a ondeggiare in su
e in giù con lei sopra di lui. Pesante.
E le sue mani aggrappate alle sue natiche. Le natiche di lui, di
lei, di tutti.
E urla dentro le ossa e i muscoli come slittini di fuoco sulla neve
ghiacciata e compatta.
Avrebbe poi affondato tutto il viso contro quella rosa rosa e avrebbe
sentito i fremiti corrergli dalle spalle fino al nero dell'anima.
E avrebbe saputo di amarla con tutta la sua anima.
Andò
a dormire e sognò di volare sopra una foresta verde. Volava
senza aereo, a braccia spalancate e il mondo pareva fatto di marzapane.
Quando si svegliò al mattino aprì la posta elettronica
inzuppando biscotti secchi veramente buonissimi.
C'era un altro messaggio. Sussultò. Diceva: "Più
provi piacere e più hai voglia di aprire le percezioni.
Per questo seguiamo la via del piacere. Il piacere è il nostro
maestro. Ora sai le cose essenziali. Inizia a realizzare la tua
leggenda personale. Per prima cosa chiediti: cosa voglio fare veramente?
Guarda la prima immagine che ti viene in mente. Guardala e cerca
di capire qual è il desiderio che il tuo inconscio ti indica
con questa immagine.
È semplice e difficile. Ti siedi, ti rilassi e quando ti
senti pronto a risponderti ti chiedi: 'Cosa desidero veramente?'
Ti viene in mente un'immagine, qualunque sia, e tu la guardi, l'accetti.
Pensaci sopra. Cosa vuol dire questa immagine? La risposta potrebbe
non venirti subito. Ma probabilmente verrà immediatamente.
Guardala.
Se qualche cosa non ti convince puoi ripetere l'esercizio: Cosa
voglio veramente?
Alla fine ti sarà chiaro cosa vuoi veramente.
A questo punto sai cosa vuoi fare nella vita. Ora fallo con tutta
la passione e vedrai che, prima o poi, ti riuscirà di farlo.
E dedicati a questo sogno solo finché ti piace. Appena non
ti dà più gusto smetti. Impara a cambiare idea.
Il percorso che ti porta a scoprire qual è la missione della
tua vita è lungo e tortuoso. E richiede la passione per gli
esperimenti. E cresce per tentativi. E ogni tentativo è di
per sé un risultato positivo. Provare ti fa crescere. Provare
è già metà del risultato. Trovare verrà
dopo.
Qualche giorno
dopo Michele si decise a mettere insieme un cd con i suoi lavori
di grafica e a spedirne una ventina di copie in giro. Aprì
anche una gallery di suoi lavori sul suo dominio internet www.michelelanzacurte.it.
Avrebbe dovuto aspettare un po' per i primi lavori...
Iniziò a girare per negozi di computer e materiali di grafica
appiccicando volantini su bacheche che forse nessuno guardava mai.
In un paio di agenzie lasciò una scelta di immagini, nel
caso il suo "stile" avesse fatto al caso loro. Il giorno
successivo inondò di mail giornali, conoscenti, case editrici
e mise inserzioni su una decina di siti che si occupavano di piccoli
annunci e ricerca di
professionisti free lance, quelli che lavorano per un solo pezzo
e poi li saluti. Quelli che non possono contare sulla paga fissa
e il lavoro se lo devono cercare. Ma d'altra parte, se vogliono,
hanno la possibilità di scegliere i ritmi della propria vita.
Si diede da fare per un altro paio di giorni cercando di escogitare
qualche cosa per trovare un lavoro subito. Poi decise di tornare
alla palestra di Chang. Questa volta ci andò di pomeriggio.
Trovò una simpatica signora milanese che si presentò
pronunciando il suo nome, Helga, perdendo improvvisamente la sua
aria rassicurante da massaia. Per un istante il suo viso fu quello
di una donna in guêpière rossa con la frusta in mano.
Lei raccolse la sua iscrizione ai corsi, gli fornì la divisa
blu azzurra dei principianti col giaccotto, i pantaloni larghi e
la cintura rossa e la sacca con il simbolo del Tao.
La lezione iniziava di lì a un'ora. Decise di aspettare.
La donna gli disse che c'era una piccola piscina con acqua calda
a 34 gradi. Avrebbe potuto rilassarsi con un bagno prima della lezione.
Aveva diritto a un bagno con massaggio compreso nelle 400 mila lire
dell'iscrizione. "Va bene" disse Michele. "Ti mando
Anita" disse la signora Helga.
Mentre andava verso l'ingresso della piscina sentì Helga
chiamare Anita e lei rispondere. E sentì di nuovo la sua
voce mentre chiedeva:"Sono arrivati gli asciugamani puliti?"
Michele entrò nella stanza che ospitava una vasca larga 4
metri e lunga 2. C'era un piccolo spogliatoio. Aveva ricevuto un
paio di boxer da bagno in confezione sigillata dalla lavanderia.
Si spogliò. Sentì una porta aprirsi. Si infilò
il costume.
Uscì dallo spogliatoio e si trovò davanti una ragazza
mora, con i capelli lunghi e mossi. Molto mossi. E gli occhi scuri,
quasi neri. E sentì come se fosse andato a sbattere contro
un ostacolo di cemento armato. Il suo aspettare che succedesse qualche
cosa. Era finito. Era successo.
Ora lui era lì con tutto se stesso e non voleva per nulla
al mondo essere altrove o rischiare di perdersi anche un solo istante
di quell'essere assolutamente affascinante, lì davanti a
lui che gli tendeva la mano e gli diceva "Ciao, io sono Anita,
mi ha detto Helga che volevi un massaggio."
"Sì" Rispose Michele eroicamente.
Sì, voleva un massaggio. Si sarebbe buttato per terra a piangere
se lei gli avesse detto che non voleva più farglielo. Entrarono
nell'acqua. Era veramente calda. Perfetta.
Lei gli prese le mani, standogli di fronte e gli disse: "Ascolta
il tuo respiro". Lui ebbe paura che lei si accorgesse che lui
stava tremando. Lei lo guardò negli occhi. Lui chiuse le
palpebre.
Ascoltò le mani di lei. Erano vive in maniera pazzesca. "Ascolta
il tuo respiro" disse lei.
Si rese conto che era finito in un mondo dove tutti gli ripetevano
"ascolta il tuo respiro".
Gli venne da ridere. Lei si avvicinò, gli mise una mano sulla
nuca e lo fece stendere nell'acqua prendendolo in braccio. Iniziò
a cullarlo come fosse stato un bambino. Dopo poco Michele fu preso
da un torpore che assomigliava al sonno.
E là si perse in una dimensione della sua mente che ancora
non aveva sperimentato. Smarrito in pensieri senza logica. L'eccitazione
iniziale aveva lasciato il passo allo stupore.
Dopo 45 minuti di quell'essere tenuto in braccio e mosso lentamente
si sentiva emotivamente toccato. E si sentiva molto bene. Veramente
molto bene. Molto bene. Veramente. Sì. Molto. Molto bene.
La ringraziò quasi commosso. La testa gli ronzava. Si separò
a fatica da lei.
Lei disse: "Ci vediamo". Lui disse qualche cosa tipo:
"Hu, hu". Ormai era perso.
Si asciugò, si rivestì indossando la divisa da arti
marziali e andò nella palestra con un sorriso primaverile.
Questa volta c'erano una decina di persone a piedi scalzi. E c'era
Wang che lo salutò con un gesto. Gli allievi si stavano sgranchendo
o chiacchieravano a bassa voce: "Bei!" disse a un certo
punto il maestro. Flemmaticamente gli allievi formarono un cerchio.
Si inchinarono tutti verso il centro in segno di saluto, si allontanarono
poi disperdendosi per la sala e iniziarono a imitare i movimenti
lenti di Bang. Per tutta l'ora non fecero altro e il maestro non
disse niente altro oltre l'Hai! Iniziale. Non parlò neanche
quando la lezione finì. Si limitò a inchinarsi per
salutare gli allievi.
Per tutta la lezione Michele aveva continuato a pensare a lei. Forse
era innamorato.
Andò a cercarla in piscina. Stava facendo un massaggio in
acqua a una signora abbondante. Lei gli sorrise. Lui ebbe la sfacciataggine
di dirle, a gesti: "Grazie (mano sul cuore) io e te (dito indicante)
andiamo a mangiare (mano con cucchiaio immaginario portato alla
bocca).
Lei fece di sì ondeggiando leggermente il capo. Lui sentì
che tutte le sue cellule ferormonali urlavano in coro: "Ssìììì!!!!!".
Uscì dalla piscina sentendosi sulla faccia un'espressione
che sembrava assolutamente ebete ma in realtà era il viso
dei Santi dei Maestri e dei Budda trasmutati dal piacere dell'estasi
spirituale.
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