COME
ANDARE A CAVALLO
SENZA FARSI MALE
Continua
da pag.1
IL
CAVALLO NELLA STORIA
Il
cavallo è originario delle grandi pianure. Una volta i cavalli
erano molto piccoli e, pare abitassero in Mongolia. Sono erbivori
e sono diventati molto veloci per sfuggire alle belve. Questo fatto
è in nucleo fondamentale della loro psicologia. Il cavallo
si spaventa e scappa. Messo alle strette scalcia. I quadrupedi,
cioè non sono aggressivi. Possono diventare pericolosi solo
se hanno paura.
COME
INIZIÒ
Il
primo rapporto che l'uomo ebbe con il cavallo fu di tipo molto elementare:
mangiarlo. A quei tempi non si trattava di un'impresa semplice.
Anche se i cavalli erano un po' più piccoli di quanto lo
siano oggi, erano pur sempre delle grosse bestie molto veloci.
Abbattere un cavallo con una pietra o con un bastone era un'impresa
quasi impossibile. L'unica possibilità era di ferirlo e poi
inseguirlo fino a quando non crollava. Ed anche questa non era impresa
da poco. Addomesticare un cavallo non fu di certo una cosa semplice.
A quei tempi i cavalli erano più piccoli (poco più
di un metro e venti centrimetri al garrese), ma erano sempre belve
che pesavano più di tre quintali. Anche gli uomini, però,
erano più piccoli (circa un metro e cinquanta), il che riequilibrava
le cose.
Pensare
di controllare simili colossi e usarli per andarci in groppa fu
un'idea veramente azzardata. Tantopiù se si pensa che i primi
cavalieri non disponevano né di selle, né di morsi
e neppure di briglie e capezze costruite razionalmente. È
facile intuire che la cosa avvenne per gradi. Dapprima i cavalli
vennero catturati in spazi ristretti. Venivano spinti in gole e
vallette scelte apposta per la loro particolare conformazione. Erano
valli chiuse su tutti i lati da pareti naturali inaccessibili e
dotate di vie d'accesso facilmente sbarrabili con rami e pietre.
Queste valli dovevano essere abbastanza ampie da fornire ai cavalli
erba ed acqua.
In questo modo venivano trattenuti e poi via via abbattuti. Venivano
cioè usati come riserva di carne. Era un sistema molto più
comodo della caccia, perché è molto più facile
abbattere un animale dopo averlo rinchiuso in uno spazio ristretto.
Specie un animale che basa le sue possibilità di salvezza
sulla corsa. Uccidere così le prede diventò molto
più facile, ma sicuramente era ancora un'impresa notevole,
visto che i nostri antenati avevano a disposizione solo pietre e
bastoni.
Ovviamente i cavalli così trattati non erano ideali per diventare
animali da lavoro e, d'altra parte, tutte le bestie dovevano essere
abbattute con l'arrivo della cattiva stagione perchè non
si conosceva ancora il modo per produrre e conservare fieno e granaglie
sufficienti a nutrire le bestie d'inverno. Seguire un branco di
cavalli senza che scappino comporta però che sia stato addomesticato.
Non devono aver paura dell'uomo.
C'era
però il problema che ogni anno bisognava catturare nuovi
equini spingendoli all'interno dei recinti. E non era cosa semplice.
Tant'è, che alla fine si scelse un'altra soluzione: addomesticare
un piccolo branco e vivere seguendolo nella stagione invernale alla
ricerca di nuovi pascoli. Cioè, in mancanza della capacità
di accumulare enormi scorte per l'inverno si preferì adattarsi
alla vita dei cavalli. Cosa non così difficile in quanto
generalmente i gruppi umani antichi si spostavano all'interno del
loro territorio via via che erbe e prede si esaurivano.
Nacque così una vita simbiotica tra umanità e bestiame
(cioè anche bovini, ovini, caprini...). Sono felice di non
aver mai dovuto controllare un branco di equini selvaggi nella pianura
del fiume giallo senza neanche un cavallo domato per corrergli dietro.
Tempi duri per gli iniziatori. Dopo i primi successi nella domesticazione
i cavalli divennero un grosso affare per gli umani. Davano sempre
molto lavoro, ma una volta abituati alla presenza dell'uomo diventarono
più facili da controllare e da abbattere.
Non
si hanno notizie di come ci si riuscì. Forse si iniziò
con una sola cavalla ferita che non venne macellata ma curata. Forse
con un puledrino che venne risparmiato in una caccia. Forse si inventarono
sistemi più complessi dei quali non sapremo mai nulla. Ad
esempio una metodologia incredibile usata dagli indiani d'America
per ammansire piccoli branchi di bisonti, era basata sul fuoco.
La tribù si armava di torce accese e costituiva una rete
umana di battitori che circondavano in un grande cerchio alcuni
animali, separandoli così dal grosso del branco. Bisognava
poi riuscire a mantenere l'accerchiamento per tre giorni e tre notti,
muovendosi continuamente ed impedendo alle bestie di mangiare e
di bere. Ovviamente occorreva un'enorme scorta di torce ed uno sforzo
pazzesco. Così gli animali avevano una specie di crollo psichico
dovuto alla paura ed alla debolezza. Finiti i tre giorni, venivano
spinti verso l'acqua a bere e gli indiani approfittavano della loro
sete e della loro confusione mentale per avvicinarli e toccarli.
Dopo questo trattamento i bisonti risultavano sufficientemente ammansiti:
non temevano più l'uomo. Non so come questo succeda. Forse
i cavalli non capiscono che c'è un nesso tra gli umani, il
fuoco e la sete. Quando poi si trovano a bere spossati, e invece
di essere uccisi vengono accarezzati, acquistano fiducia e gratitudine.
Uno sporco imbroglio insomma. Ai cavalli si fa credere che gli umani
li hanno salvati dal fuoco.
Questa
logica comunque è alla base del rapporto umani-cavalli. Il
dominio sulle bestie si basa proprio sulla comprensione della meccanicità
della mente degli animali. Un altro esempio utile per capire la
mente animale lo troviamo in una tecnica di caccia al cervo in uso
presso alcune tribù di nativi americani. è un rito
di iniziazione durissimo che consiste nell'inseguire l'animale finché
questo crolla. Sembra incredibile, ma funziona. Il giovane ovviamente
non riesce mai a raggiungere il selvatico, ma non importa. è
sufficiente che continui ad inseguirlo non lasciandolo riposare
mai. L'animale infatti non scappa mai per dieci chilometri. Procede
per fughe di poche centinaia di metri, quindi l'uomo può
mantenerlo in uno stato di fuga costante.
L'animale ha certamente più riserve di energia che l'uomo,
e quindi potrebbe resistere un secondo di più. In pratica
però il cervo, dopo un paio di giorni, ha un crollo psichico.
Non regge la tensione della paura e si arrende. Crolla letteralmente
immobilizzato, incapace di muovere un'altro passo. Chiunque abbia
domato un cavallo sa che questo è un nodo fondamentale del
rapporto.
Il cavallo va spossato psicologicamente con la semplice pazienza.
Una buona doma si ha solo se l'animale ha ceduto ed ha visto che
quando era in nostra balìa, ormai incapace di difendersi
o fuggire o resistere, noi non abbiamo approfittato di lui. Così
si crea una fiducia impressa profondamente nella mente dell'animale.
Lui sa che voi non volete ucciderlo, perchè non lo avete
fatto quando lui si è arreso. Un diverso legame con i cavalli
è certamente possibile, ma richiede che il cavallo vi riconosca
come membro del suo branco in modo totale.
Per
ottenere questo bisogna educare il puledro fin dalla nascita possando
con lui un'enorme periodo di tempo. Allora la doma diventa per lui
un passaggio naturale e l'essere cavalcato una sua seconda natura.
Da un cavallo così cresciuto si possono ottenere comportamenti
ed abilità incredibili, ma la difficoltà e l'enormità
delle prove rendono rarissimo questo tipo di rapporto. Certamente
qualora tra l'umano e il quadrupede si sviluppi un rapporto di affinità
emotiva e di vera comunicazione (al di là delle tecniche
usate, quando cioè si va al di là degli obiettivi
tecnici delle doma) si hanno delle enormi soddisfazioni.
Amarsi coi cavalli è bellissimo.
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